Tutti conoscono, perlomeno di nome anche se non lo hanno mai letto, Jules Michelet, l'autore della « Storia della Rivoluzione » e della « Storia di Francia », universalmente ritenuto uno dei massimi storici francesi, se non il massimo, del secolo scorso. Ma quasi nessuno, qui in Italia e oggi perlomeno (qualcuna di queste opere è stata tradotta diversi decenni fa, agli inizi del secolo o attorno a lì, e poi mai più ristampata, ed è completamente caduta nell'oblio), conosce la produzione di questo storico artista — artista innanzitutto amava definirsi, e aveva ragione, lui stesso — nel secondo periodo della sua vita. Che inizia verso il 1850, quando cinquantaduenne conosce e sposa Adèle Athenaì's Mialaret, allora una ragazza di ventitré anni. È dopo questa conoscenza, questo matrimonio, che improvvisamente l'interesse dello scrittore si sposta dai teatri sanguinosi della rivoluzione, dalle repressioni, rivolte, dagli intrighi e dagli eccidi, al mondo della natura; nel 1856 scrive « L'Oiseau », l'anno dopo « L'Insec-te »; e già sessantenne, dopo altri undici anni, « L'Amour » e subito « La Fem-me » e infine « La Mer », « La Montagne ». Sempre di questi anni è il suo intelligentissimo saggio sulle streghe. Come il lettore vedrà da sé leggendo « L'insetto», Michelet era alieno da ogni ambizione scientifica — non era uno scienziato, giungeva a questo campo molto tardi, da puro amatore — e nemmeno aveva in animo di compiere un'opera di divulgatore. Se si mette a confronto un capitolo dei « Ricordi entomologici » di Fabre e uno di questi di Michelet, ci si rende subito conto della differenza: per il primo si tratta di una ricerca appassionata, di trovare la soluzione ad un enigma—è una scrittura dominata dal segno della Sfinge, anche se si tratta di una Sfinge dionisiaca — nel secondo invece di un tentativo di comprensione tutta sentimentale, di far penetrare dentro i confini del proprio mondo la varietà del Cosmo, di stipare di oggetti viventi, con la vita stessa, quel grande spazio che lo separa dal suo polo opposto, dalla persona di Adèle. Poco nominata, ma sempre presente, con le pagine del diario, nel noi delle passeggiate, dei soggiorni, delle esperienze, nella tenerezza verso la vita che gli ha comunicato (gli insetti liberati), Adèle rappresenta il polo opposto, non perché costituisca una forza in qualche modo avversa, in conflitto, ma perché è la sua essenza stessa, la giovinezza con tutto il seguito di vitalità e mobilità che una giovinezza porta con sé, che si trova all'altra estremità di ciò che minaccia Michelet sempre più da vicino: la vecchiaia, lo spegnersi delle energie vitali, il buio eterno. L'incontro tra Michelet e Adèle è stato uno di quei rarissimi casi fortunati in cui tra due esseri si crea un campo magnetico che è al medesimo tempo un ponte gettato verso l'altro, costruito, fitto, solido di ogni forma colore e moto della vita, quasi un rispondere che non si da mai pace, una Fuga che non si esaurisce mai; e un recupero di tutto quanto prima della vita, prima dell'incontro con Adèle, era rimasto interdetto a Michelet. Questo voler includere nei propri confini, rivivere scrivendolo, fare memoria propria ogni aspetto del Cosmo, sono i suoi Trionfi, le resistenze di vita con cui Michelet contrasta millimetro per millimetro il terreno al trionfo della Morte. È questa sempre presente tensione amorosa che da la luce alle sue pagine: « il senso di questo libro » scrive l'autore in una nota « è venuto tutto dal cuore ». Ed è così, con in più la Grazia dell'artista Michelet.
Traduzione di Anna Maria Scaiola; con tavv in nero nel testo e fuori, tratte da: Blanchard, Metamorphoses des insects, Parigi, 1868
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